Il successo di Cristina Fogazzi, bresciana, 47 anni, che molti conoscono come “L’estetista cinica” e che da un centro estetico e dal suo profilo Instagram è arrivata a fatturare 61 milioni di euro annui è uno di quei fenomeni che per l’innato conservatorismo italiano viene spesso sottovalutato. Social network, acquisti online, influencer, centri estetici, skincare, prodotti di bellezza sono tutti argomenti che generano alzate di spalle. Perfino il suo successo commerciale viene affrontato come un mistero di questo secolo pazzo e risolto come uno “strano, ma vero”. Invece si posiziona giusto al centro di quelle che sono le dinamiche più interessanti di questi anni: la fine dell’intermediazione, la fiducia negli influencer, il mutamento dei canoni della bellezza, il commercio online, l’imprenditoria femminile.
Nell’ultimo anno, negli Stati Uniti c’è stato un boom degli apparecchi dentali, perché molte persone hanno approfittato del dover indossare la mascherina e dello stare chiusi in casa a lungo. Mi ha incuriosito questa notizia perché immaginavo che la cura di sé fosse diminuita con la pandemia. Ma lo chiedo a te che ne sai sicuramente di più. Invece è proprio così: è aumentata. È chiaro che, non uscendo di casa, al make-up è stata dedicata meno attenzione perché – a parte me che dovevo fare le storie su Instagram – il resto del mondo era risparmiato da questa perniciosa abitudine e poteva non truccarsi. Però tutti i trattamenti che facciamo noi donne – voi uomini meno, ma forse anche voi – avendo più tempo a disposizione… Beh, le persone se li sono fatti.
Ti ho sentito dire che i maschi, quando ti intervistano, chiedono subito e solo quanti soldi fattura l’“Estetista Cinica”. Forse resiste ancora quel preconcetto per cui le ragazze facevano a gara per chi fosse la più bella e i maschi il più ricco. Poi i maschi quando mi vedono su Corriere Economia o in televisione vestita tutta di rosa pensano ancora “vabbè”, invece poi sentono le parole “sessantuno milioni di euro” e lì l’attenzione cambia.
Ti ho sentito anche precisare la cifra: 61 milioni di euro quando avevano arrotondato a 50. Perché è una discussione infinita che c’è all’interno della mia azienda, scusami. Quando mi danno i dati, voglio i dati del sell-out cioè quanto ho venduto. È inutile che mi togli l’IVA, perché il cliente l’IVA l’ha pagata. Poi che a bilancio non ci sia l’IVA è un altro tipo di discorso.
Quando dici che agli uomini interessano solo le cifre lasci intendere che, invece, dovrebbe interessargli altro: cosa? Al fatto che sono l’unico caso europeo di e-commerce di prodotti beauty legati a una… oddio, celebrity non mi sembra… diciamo, a una persona nata nei social network. Negli Stati Uniti esiste Glossier che è una linea per teenager che fattura più di 100 milioni di euro, nata da un blog, “Into the gloss”. Poi ci sono tutte le linee legate alle celebrities, Coty fatta da Kylie Jenner, Fenty Beauty fatta da Rihanna, ecc. Ma, in rapporto, se uno fa 150 milioni negli Stati Uniti e io ne faccio 60 in Italia, forse sto facendo di più io.
E oltre ai numeri? Al netto dei numeri non viene capito il fenomeno. Io faccio solo skincare – nel settore beauty si può fare o solo una linea o varie, come Lancôme, che conoscete tutti, che fa le creme, i trucchi, i profumi, mentre io faccio solo skincare. Pensa quanti tipi di prodotti esistono tra i trucchi… Ma io faccio solo la skincare e, in Italia, faccio quanto un grosso brand. Non importa che loro nel mondo facciano più di me, io faccio quanto loro in Italia, e tutto partendo da un blog e da un account su Instagram.
C’è anche un imbarazzo a parlare di soldi che mi pare tu non abbia affatto. No. Primo perché si vuole che le donne non parlino mai di soldi perché sarebbe volgare, ma in realtà solo perché è considerata ancora come una cosa solo da “stanza dei maschi”. Secondo: ma se hai un’azienda di cosa dovresti parlare? Anche perché quando parli di tanti soldi non devi pensare all’imprenditore con la villa in Sardegna (che peraltro non ho), ma che la mia aziendina, nata da me che mettevo sottovuoto le creme al centro estetico, in questo momento dà da lavorare direttamente a 53 persone. Ma se ci aggiungi la logistica che lavora solo per me, il produttore di cosmetici lo stesso e altri ancora, ho un indotto di 200 persone che lavorano da un anno solo per me. Tante persone che mi hanno ringraziato e mi hanno detto: «Senza di te quest’anno chiudevo». Quindi dietro ai soldi devi pensare che quel reddito s’è formato in maniera onesta, senza società alle Bahamas o giochini. E pure vendendo tutto online dove ogni cosa è tracciata.
Sì, però c’è anche un altro aspetto. Per esempio, io, quando mi arriva la ricevuta di un bonifico, la straccio in trecento pezzetti prima di gettarla nella spazzatura. Fosse anche da 70 euro. Sì, bravo. Ma perché?! Capisco se non vuoi dire cosa voti – anzi, non sono d’accordo nemmeno su quello – però non capisco questi grandi misteri sullo stipendio: che problema c’è se uno guadagna tanto o poco? Invece quando escono queste cifre sui giornali arriva sempre la telefonata di mio suocero che dice: «Non dovete dire quanto guadagnate, che poi vi rapiscono!».
Un po’ lo capisco. Allora capirai anche Barbara, la mia assistente che spesso porta il mio cane a spasso, che invece mi dice: «Se non la smetti di dire questa cosa del fatturato, a me prima o poi mi picchiano e mi portano via il cane per il riscatto!». Quando è capitato a Lady Gaga è scoppiato il panico a casa mia. E sai che gli influencer fanno vedere le case negli home tour? Io non posso perché mio marito è terrorizzato che vengano i ladri.
Devi fartene una di rappresentanza solo per Instagram. Spesso mi scrivono: «Cristina, ma facci vedere la casa!», ma mio marito mi dice di non fare foto neanche se siamo vicino al portone perché poi capiscono dove abitiamo.
Mi pare di notare, però, in questo tuo modo di fare anche un elemento in comune con una delle ragioni del tuo successo: tu hai molta fiducia nelle persone. È vero, è quello su cui sono cresciuta, però più che fiducia io la chiamo credibilità. Nel senso che i trucchi di Rihanna li compri perché è Rihanna. E non è che Rihanna fa i trucchi, però è molto figa e tu pensi che saranno fighi anche i suoi trucchi. Rispetto a Rihanna io faccio un altro campionato. Per cui nel mio caso si è creato un rapporto di fiducia: io facevo l’estetista e così ho cominciato a spiegare il mio lavoro sui social network. Molto prima di creare la linea, avevo un blog e facevo dei video allucinanti dove spiegavo la cellulite con i palloncini pieni d’acqua. Ho scritto un libro sulla cellulite quando non vendevo ancora alcun prodotto cosmetico. Da quella cosa lì, è nata una credibilità che ha portato al fatto che si fidassero di me per comprare prodotti “addirittura” online. Perché – a proposito di fiducia – quando ho iniziato c’era ancora il tema del «Non compro nulla perché mi clonano la carta di credito!».
Quando hai capito che le spiegazioni e quei video allucinanti avrebbero avuto un seguito? Devi capire che i centri estetici hanno una marginalità bassissima. Se fai una ceretta – io non ne faccio, ma parliamo di ceretta così capiscono anche i maschi – a una cliente, significa che hai una dipendente impegnata per mezz’ora. Se consideri il costo dell’affitto a Milano, il costo della dipendente – se l’hai assunta come si deve – l’elettricità, ecc. ecc., e costruisci il tuo costo orario, capisci che 12 euro di una manicure non copriranno mai quel costo. Vuol dire che se sei onesto (quindi non se hai dipendenti in nero o assunte tutte come apprendiste a 500 euro) e se vuoi del personale formato e cioè persone che paghi 1.300 euro al mese in busta paga (e te ne costano circa il doppio), se paghi l’affitto a Milano (non dico in centro, ma in una bella zona), a te rimane poco più dello stipendio della tua collaboratrice. In più tutti i mesi l’acqua alla gola per pagare le ricevute bancarie.
Come si fa? Per questo le estetiste vendono anche le creme di una linea terza, perché la crema la vendi a 50 euro e hai un margine più ampio. Il problema, però, è che tutte le linee vogliono che tu faccia un impianto, cioè che compri tutti i prodotti di una linea. E pensa che il primo impianto costa tra i dieci e i ventimila euro. Poco dopo aver aperto, avevo veramente l’acqua alla gola, perché sono partita senza soldi e non potevo nemmeno permettermi l’impianto di creme. Quindi, a un certo punto, per cercare di guadagnare di più mi sono detta: «Vabbè, proviamo a fare questa linea di creme».
E com’è andata? Ho cominciato a venderle online e ne vendevo dodici. Poi la cosa ha cominciato a crescere. Ma ho capito bene che non le compravano solo le mie amiche quando ho lanciato delle bende in cui non credeva nessuno, nemmeno il mio socio, mentre io sì. Ne abbiamo ordinate 50 pezzi. Ne abbiam vendute 186 in un’ora (che ovviamente non avevamo). A quel punto mi sentivo già Steve Jobs, mi vedevo a fare la presentazione del nuovo iPhone. Noi fino a lì spedivamo gli ordini dal centro estetico, ma 186 confezioni di bende fanno 186 chili di sali quindi ho dovuto trovare una logistica e da quel momento ho capito che se volevamo fare questo gioco non lo potevamo fare più come fossimo in un sottoscala.
È facile darlo per scontato oggi, ma quando hai cominciato non era per nulla certo che il commercio online sarebbe diventato quello che è adesso. Due anni fa ho organizzato il “Circo cinico”, cioè andavamo nelle piazze a vendere un prodotto che fino ad allora avevamo venduto solo online. Io non ero in alcun negozio fisico ancora, né Rinascente, né altro. Non potevamo vendere su suolo pubblico, quindi facevamo comunque ordini online, ma da un luogo reale. Ebbene, al Sud abbiamo dovuto aprire a molte persone gli indirizzi e-mail perché non li avevano! Oppure pensa anche che noi abbiamo ancora il contrassegno tra le modalità di pagamento possibili: cioè ti arriva il pacchettino e paghi in contanti. L’abbiamo sospeso durante il Covid e volevamo poi abolirlo del tutto, perché è una menata allucinante, ma c’è un problema: ci fattura ancora un sacco di soldi. Perché la mentalità di molti è ancora “Vedere cammello pagare soldini”.
Il Covid ha cambiato le cose? Ha dato un’accelerata incredibile. Anche perché il fatto che t’arrivasse un pacco a casa, mentre tu eri chiusa dentro se non per portare a pisciar fuori il cane, ti faceva dire: «Ah, allora il mondo ancora esiste».
Ci sono pure i problemi con la connessione. Ecco, questa è una follia. Quando dicono che serve potenziare le infrastrutture, che l’utente che legge si chiede ma che cazzo sono le infrastrutture… significa, per esempio, che se una deve comprare i prodotti di un’azienda come la mia che vende solo online, la mancanza di connessione rappresenta un problema. L’Italia è un Paese, invece, in cui ancora prima di partire per le vacanze devi informarti su quale compagnia telefonica prende bene dove andrai o se c’è una rete wi-fi. E non sulle isole sperdute, ma pure se vai in Puglia o in Liguria. Ti pare possibile?
Sei troppo sveglia per non sapere che a un certo punto dell’intervista io avrei detto “Chiara Ferragni”. Non sai quante volte mi hanno definito “la Chiara Ferragni blablabla”…
Allora ti chiedo: affinità e divergenze. Ma Chiara fa un altro lavoro, è un altro tipo di business. Chiara è una celebrity, Chiara è una Rihanna della situazione, non è la Cristina Fogazzi della situazione. Chiara è una celebrity che ha una linea di abbigliamento che non è legata al fatto che lei faccia anche la designer di moda, ma è legata al fatto che lei è una celebrity. E il grosso del suo guadagno deriva dal fatto che lei è una celebrity e dal prestare il suo volto ai brand: è il volto di Dior, è il volto di Bulgari, insomma, di un sacco di gigantesche aziende.
Tu vendi i tuoi prodotti, ma immagino avranno chiesto anche a te di vendere prodotti di altri. Sì, me lo chiedono ogni tanto. Ma vediamo se riesco a spiegarti come mi sento… Devi pensare che io sono figlia di un’operaia e a dire certi “no” giuro che mi vergogno con me stessa. Perché quando ti vogliono dare 50mila euro per pubblicizzare uno yogurt – adesso sto inventando, non è mai successo – da una parte c’è la figlia della Rosy che dice «Mia mamma per guadagnarli è dovuta diventare sorda e non li ha guadagnati mai», mentre dall’altra ti dici «Ha senso che io, che faccio un altro lavoro, mi metta lì a parlare dello yogurt?». Per cui ho detto tanti no, che se lo sapesse mia madre mi menerebbe, però mi sembrava coerente rispetto a come ti percepisce chi ti segue. Potrei fare uno spottone diverso tutti i giorni, però la fiducia di cui parlavamo prima andrebbe a svanire. Perciò, faccio delle cose se hanno un senso. Per esempio ho fatto la Intimissimi Girl, che è una roba che mi divertiva tantissimo, perché se tu pensi alle modelle di Intimissimi e poi pensi a me, beh, mi è piaciuto il messaggio: che io, a 46 anni, una taglia 44, una persona di 1 metro e 62, fossi quella che pubblicizza l’intimo… Mi sembrava bello e in linea con me stessa.
Nelle cose che fai devi spesso affidarti all’istinto, non c’è un modello di successo di riferimento. In questo caso mi ispiro molto a Chiara: perché Chiara, secondo me, nella sua carriera ha detto tanti “no” per potersi posizionare così. Anche se molto spesso i brand di fast fashion ti danno molti più soldi di quelli del lusso, diventa una scelta strategica dire di no a qualcuno che magari ti copre d’oro, per dire di sì a Dior, che magari ti dà molti meno soldi, perché ti dice «Amica, ti sto facendo lavorare per Dior». Io dico sempre a tutti, in qualsiasi settore, di guardare quelli che sono più bravi di te. Se son diventati bravi ci sarà un motivo. Ecco, un altro dei problemi intorno a questo mondo evanescente dei social network è che c’è sempre un po’ il rischio di pensare che la gente sia miracolata, che sia stata graziata dal Signore, che sia capitata lì per caso. Mentre secondo me questo è solo un modo per ridurre il fenomeno. Nel discorso da bar va bene tutto, però non puoi non capire che se una diventa Chiara Ferragni e tutto il resto c’è un motivo. Che ha praticamente inventato una cosa e ha saputo gestirla benissimo.
Invece a proposito di Intimissimi. A me pare che tu abbia avuto un ruolo decisivo nel cambiare la percezione dei canoni della bellezza. Non te lo so dire. Di sicuro non da sola. Perché, in realtà, c’era un’onda e in questa onda c’ero e ci sono anche io. L’ho intercettata, è vero, ma perché la sentivo davvero mia. Vivevo già così, è stato naturale. Sai qual è stata, invece, la botta di culo? Che questa cosa qua a me è arrivata a 45 anni. A 20 anni forse scapocciavo. A 45 anni hai uno sguardo più maturo rispetto a te stesso e rispetto anche agli altri, così se metti una foto e in millemila ti scrivono che sei grassa, te ne freghi. A 20 anni è un pochino più difficile, non so nemmeno come l’avrei presa. Mi piacerebbe dirti che anche a 20 anni ero così, ma non è vero. Non so come l’avrei presa e se sarei stata coraggiosa. È facile essere coraggiosa quando hai una consapevolezza di te completamente diversa.
Adesso c’è il rischio opposto? Persone bellissime che vogliono partecipare e mostrano piccole imperfezioni felici di poter dire: «Guardate, anche io ho dei difetti!». Fa ridere. È lo stile del business dei cosmetici di cui parlo da anni: le pubblicità delle creme antirughe con la foto delle ventenni. E ti viene automatico pensare: «Ma che, me stai a cojonà?». Abbi pazienza. Adesso si sta muovendo qualcosa per cui chi mettono? Sharon Stone! Ma vaffanculo! Capito che ha 60 anni, ma è Sharon Stone! Però almeno adesso hanno cominciato a mettere delle signore coi capelli grigi, che fa subito aging. E allo stesso modo adesso vedi una ventenne che, logicamente, non ha un filo di grasso, ma per fare anche lei della body positivity ti dice: «Guarda, anche io ho dei difetti, ogni tanto mi cresce un pelo sul mento». E ti viene da dirle: «Ascoltami, non è che siccome c’è questo settore qua devi per forza cavalcarlo!». Io non avevo questo problema perché i difetti ce li avevo davvero, gran botta di culo.
Perché usano Sharon Stone? Perché il modo per venderti il prodotto beauty era quello che chiamano “aspirazionale”: cioè, tu vedevi una figa e speravi che comprando quel prodotto diventassi figa anche tu. Senso di inadeguatezza: «Cazzo, però vedi, Sharon Stone a 60 anni è così e io invece a 52 faccio cagare, forse è perché lei usa una crema di un brand di lusso all’orchidea rossa. Fammela comprare». Adesso c’è Isabella Rossellini a fare il volto di Lancôme, ma ricordo le polemiche di quando l’avevano pensionata. Se fosse capitato adesso, immagini cosa sarebbe successo? E guarda che non è tanti anni fa…. Oggi partirebbe un boicottaggio e degli insulti che a quelli di Lancôme toccherebbe tenere Rossellini finché non decidesse lei di smettere.
Anche durante questa conversazione tu mi hai detto: «Gli uomini, gli uomini, gli uomini…». C’è davvero ancora l’idea che l’uomo per essere uomo deve puzzare? Tuttora l’eterosessuale medio italiano si lava sotto la doccia con la cosa che fa la schiuma, qualsiasi essa sia, shampoo, saponetta, ecc. Magari il contorno occhi lo mette pure, ma non va in profumeria a comprarlo, al massimo domanda alla moglie «Mi stanno venendo le rughe, hai qualcosa da darmi?». Che poi, in realtà, l’eterosessuale medio italiano non si compra nemmeno i calzini e le mutande. Se li fa comprare prima da sua madre e poi da sua moglie.
Sono campano, dunque conosco dei casi estremi in cui uomini si fanno comprare le mutande perfino dalla suocera. Hai ragione, ma non è solo in Campania. Non dico non ci siano estremi, ma l’italiano medio fa ancora così. Ti posso raccontare un aneddoto dell’eterosessuale tipo? Il mio socio ha comprato la fascia per gli addominali di Cristiano Ronaldo! Noi lo abbiamo preso per il culo, ma questo compra.
Non sapevo neanche esistesse. Ci vedo un grande ritorno degli anni Ottanta. Le famose fasce vibraculo! Sempre lì siamo! E questo è il mio socio! Che avrebbe dovuto imparare qualcosa… Ma eravamo durante la pandemia, dice, e non poteva più giocare a calcetto e fare sport.
Pensavo che Ronaldo in mutande su tutti quei cartelloni pubblicitari avesse cambiato qualcosa. Io, francamente, un po’ di profumerie le bazzico, ma non ho mai visto uomini entrare a comprare il contorno occhi. Invece vedo dei poveri martiri, che noi di solito facciamo passare avanti in fila, con la lista delle cose che la fidanzata gli ha detto di comprare. Mi fanno tenerezza.
Quindi è un modo di tutelare le minoranze. Dico sempre che nella mia azienda su 53 perosne ci sono 4 uomini. Noi tuteliamo le minoranze al contrario.