Quattro anni fa ho preso servizio al Viminale come consigliere del ministro per la cybersecurity.
Una volta preso possesso del mio ufficio mi fu consegnato un telefono di servizio di marca Huawei; devo dire che rimasi interdetto e stupito. Conoscendo le ombre sulle telecomunicazioni cinesi non me lo aspettavo proprio e chiesi subito lumi all’amministratore di sistema.
Mi spiegò con grande gentilezza che lo smartphone che mi era stato appena consegnato apparteneva a un grosso lotto di routine, assegnato da Consip per coprire le molteplici esigenze centrali e periferiche del ministero dell’Interno (direzioni centrali, prefetti e prefetture).
Il mio smartphone (come tanti altri) era il frutto di una procedura selettiva tipica delle gare Consip – consolidate da tempo – che non si limitavano al Viminale, ma comprendevano l’approvvigionamento di molti altri ministeri per soddisfare la crescente esigenza di apparati telefonici, router, apparati di video sorveglianza e materiali tecnologici di varia natura.
Dopo questo episodio, nei mesi successivi, ho avuto il compito di redigere una relazione per il ministro sul delicato tema cybersecurity e sicurezza pubblica. Nel rapporto ho sottolineato, tra l’altro, l’esigenza imperativa per il ministero dell’Interno (e non solo) di selezionare device e tecnologie più sicure nel delicato settore delle telecomunicazioni e delle tecnologie digitali.
A mio avviso era assolutamente necessario superare l’impostazione di Consip basata esclusivamente su criteri di prezzo quantomeno per i ministeri del Csir.
Trovai un diffuso consenso sul fatto che non si potevano né si dovevano ignorare le preoccupazioni per le tecnologie cinesi su cui prestigiose istituzioni accademiche e organismi di intelligence a noi collegati avevano da diversi anni acceso i riflettori.
Sulla base della mia nota all’inizio del 2018 il Viminale ha avviato una riflessione interna, con il dipartimento di Pubblica sicurezza in primis, ma anche coinvolgendo le altre direzioni generali.
Una volta concluso il mio mandato ai primi di giugno 2018 ho ritenuto doveroso inoltrare le mie riflessioni anche al nuovo capo di gabinetto del ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Da allora non ho più seguito la materia.
Non so se i miei suggerimenti siano stati accolti. Certo l’inserimento del comparto delle telecomunicazioni nel memorandum d’intesa tra Italia e Cina sulla Via della Seta non è stato un elemento rassicurante; speriamo che l’Italia non ne stia pagando ancora le conseguenze.
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